«Chi non fa squadra è fuori dal governo», avverte il premier, sferrando un colpo micidiale a Di Maio e a Renzi. Al quale risponde acido su Rai3, «stiamo sereni tutti». Ai grillini fa sapere che non convocherà nessun altro consiglio dei ministri sulla manovra. Concederà «ragionevolmente» un vertice di chiarimento lunedì, visto il pressing di renziani e grillini, ma con precisi paletti. Sul carcere agli evasori «andrò fino in fondo». «La manovra è stata approvata, salvo intese tecniche, vuol dire che si possono fare approfondimenti tecnici. La manovra è stata deliberata, preceduta da tanti vertici, approvata da ministri di tutte le forze politiche, anche del M5S. Ed è stata comunicata a Bruxelles». Di Maio è servito. E messo all’angolo, perché «quella della stangata sulle partite Iva è una gran fesseria». Dunque l’avvertimento è rivolto agli amici grillini. Tanto che è facilmente immaginabile la furia di Di Maio, al punto da indurre poi palazzo Chigi a chiarire che il premier non ce l’aveva con nessuno in particolare. Ma il suo bersaglio è chiaro. «Io ho iniziato un impegno in politica perché ho avuto piena fiducia nel Movimento cinque stelle. Ora abbiamo un contesto favorevole a un piano antievasione che faccia emergere l’economia sommersa. Però non può essere toccato: ho iniziato con un Movimento che gridava “onestà” e continuerà a gridarlo. E tutti devono andare in questa direzione. Dobbiamo fare squadra e chi non la pensa così è fuori dal governo». Stop. E chi deve capire ha capito.
Insomma, Giuseppe Conte sorride e mangia cioccolatini, ma con i dioscuri Luigi Di Maio e Matteo Renzi ha il dente avvelenato. Tra pupazzi parlanti, barrette di fondente, “l’isola dei golosi” spalanca le tende al premier mentre il dolce effluvio che emana dagli stand di Eurochocolat impregna l’aria perugina. «Grazie per aver mollato Salvini!», gli urlano dietro. Ma a dispetto di quanto si possa pensare visti i chiari di luna, Conte scaccia l’idea di una sua discesa in campo, perché a chi lo incita a non mollare e gli dice «non deluderci», risponde «io non vi posso deludere, io non cerco voti, il mio programma è chiaro, se vi sta bene è quello». Ma l’aria è cupa, il governo non pare saldo, gli scenari si moltiplicano e lui svetta in tutti i copioni come attore co-protagonista. Con Nicola Zingaretti si sfiorano ma non si vedono, il leader Pd passa da qui due ore prima, ma il rapporto col Pd è blindato. Come conferma Andrea Orlando che evoca pure lui non a caso lo scenario catastrofico della rottura: «Se la fiducia è venuta meno lo si dica».
Con il candidato governatore Bianconi il contatto c’è e sull’Umbria il premier dice che questo voto «è un esperimento politico, molto importante, ma non può essere un test per il governo». Un altro stop a chi tra i grillini sovraccarica questo test di significato.
Qui a Perugia può fare un test popolare, c’è gente che viene dalla Calabria, da Napoli, da tutta Italia. La folla lo avvolge e lui ci sguazza, ma dopo i selfie le domande sono sempre su tasse e pensioni. «Non toccate quota cento, per favore», lo prega una signora dalla chioma canuta. «Non la tocchiamo, stia tranquilla». La bolgia è infernale, lui fa lo slalom baciando bambini e distribuendo caramelle. Prima di tutto però, si gira verso il capannello di cronisti e telecamere. «Vi dico una cosa. Io sono quello che fino a 65mila euro di reddito ha portato l’aliquota al 15% per commercianti, artigiani, professionisti, per tutti. Quando ho firmato il provvedimento avevo la partita Iva anch’io e l’ho dovuta chiudere. Conosco il popolo delle partite Iva». E a un piccolo artigiano che lo incalza, Conte annuncia che «grazie alle risorse che recupereremo con il piano anti evasione, poi potremmo abbassare l’aliquota pure dai 65mila ai 100 mila euro. Con l’aliquota al 15% non c’è nulla da temere, si può tranquillamente fare lo scontrino. Non vi fate schiacciare da chi vuole descrivervi come evasori, non lo siete». La manovra di seduzione verso gli autonomi è avviata.
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